domenica 21 aprile 2013

Qui Roma, anzi no. Qui L'Aquila. Scatti di Ivan Bianco


Ciao Valeria,
sono passati  4 anni dal terremoto che ha colpito L’Aquila,  fui tra quelli (molti) che partirono a dare i primi soccorsi, fummo accolti da donne e uomini  che con le lacrime negli occhi e la disperazione nel cuore ci videro come degli eroi, sembravano naufraghi ritrovati in mare dopo  tanto tempo, per quanto piegati nel loro dolore ( i morti furono 309) erano loro a darci la forza per aiutarli attraverso il loro coraggio di ricominciare e l’ostinazione a rialzarsi.
C’era una città da riconsegnare ai loro e ai nostri figli.
Umanità perse, capolavori distrutti, animali morti, panorami svaniti un tempo da ritrovare e uno spazio da ricostruire.

Le prime foto, sono quelle a me più care:
L'Aquila, Palazzo della Prefettura in Piazza della Repubblica, 18 aprile 2009 ore 22:00. Dopo 12 giorni dal Sisma la luce al? interno dell'abitacolo della Fiat Panda ancora non  si è spenta. Una fioca speranza pare ancora rimanere



















Chiara Lera. Greenish




La natura selvaggia, nella sua seducente bellezza, parrebbe, ad un primo sguardo, il punto di partenza della nuova produzione artistica di Chiara Lera.
Ma ad una più attenta lettura, tra i suoi colori profondi si cela ben altro.
Il concetto di ‘selvaggio’ è indubbiamente una costruzione culturale, basata sul presupposto che l’umanità sia separata dalla Natura. La società da molto tempo ha interrotto il rapporto di armonia con l’ambiente naturale; ciò che non è “ umanizzato” è selvaggio, oscuro, minaccioso, qualcosa da cui rifuggire, da temere, da non sfidare.
Le pitture su tavola, della pittrice lucchese, sono caratterizzate da questa presenza tenebrosa; atmosfere che giungono da un tempo lungo e dense di percezioni, sembrano la cifra di ciò che potrebbe essere memoria o qualcosa di fotografato al di là del reale, celato nel ricordo e rielaborato poi nella ricerca. La natura ha forme aspre, oppure delineate da linee aguzze, grandi masse di colore dove spicca e resiste un elemento umano: case abitate che squarciano il buio, una sedia che interrompe la monocromia dello spazio pittorico, finestre da cui arriva luce. Forme che denunciano la vita e rilevano non la debolezza dell’uomo contemporaneo, ma la sua forza, la sua integrità, la sua perseveranza. La natura qui diventa metafora, dei nemici esterni, delle difficoltà che soffocano il nostro quotidiano, delle incertezze che oscurano il nostro futuro, dove la presenza umana, non si disintegra, non scappa, non si lascia soffocare, ma anzi, da prova della capacità di sopportare, pazientare, convivere con essa, per recuperare una propria identità. Lottare per ciò che si ha piuttosto che rimpiangere ciò che si è perso, auspicando alla creazione di un nuovo equilibrio tra ambiente naturale e umano, perché nella vita si va avanti nonostante, il male, il buio, lo sconosciuto senza cedere totalmente alla loro fascinazione.
In questo paesaggio difficile, opprimente, qualcosa brilla, è l’uomo presenza rasserenante, una forza il cui potere, nelle opere di Chiara Lera, non è urlato ma sussurrato eppure saldo e costante.

sabato 6 aprile 2013

Vanni Cuoghi


I tuoi pensieri non toccano terra. 2013 acrilico e olio.

Valeria: Mi racconti brevemente il tuo percorso?

Vanni: Come sono arrivato a fare l'artista è come raccontare di un viaggio fatto senza cartina e senza navigatore.
Segretamente ho sempre desiderato fare questo mestiere, ma reputavo che fosse una meta troppo ambita e così ho fatto il "giro largo".
Ho studiato Decorazione pittorica all'Istituto D'Arte di Chiavari (GE) e scenografia all' Accademia di Brera.
Ho lavorato come scenografo per il teatro e la la televisione, ma io volevo disegnare, così ho passato qualche mese all'Accademia Disney e, nel frattempo, facevo le illustrazioni per le riviste Airone e Genius.
Ma ero irrequieto e ben presto ho intrapreso un nuovo percorso. Conoscevo la prospettiva e le tecniche pittoriche e così ho iniziato a fare il decoratore. Ho dipinto trompe l'oeil per interni e per esterni per tanti anni; ho viaggiato per l'Italia decorando ville, chiese, locali notturni, hotel e ristoranti.
Ma l' anima(le) della Pittura reclamava a gran voce la sua parte e alla fine ho ceduto.

Valeria: Artisti si nasce e si diventa?
Vanni: Credo che artisti si diventi. Puoi avere una predisposizione, ma è l'attenzione costante al contemporaneo, lo studio della Storia dell'Arte e la disciplina che ti portano ad ottenere dei risultati.
Puoi avere un orto con la terra fertile, ma se non pianti dei semi, non lo coltivi,non togli le erbacce e non lo annaffi non otterrai mai dei frutti.

Sette pensieri Saggi, 2013 acrilico e olio 

Valeria:Da dove trai spunto per le tue opere?

Vanni: Attingo dappertutto, dalla cronaca, dal fumetto, dall'illustrazione, dal teatro ecc. L'artista è il beccuccio di un grande alambicco e l'Arte né è il distillato.

Valeria: Hai avuto dei maestri?
Vanni: Imparo da tutto e da tutti. Sono molto curioso. Ho fatto l'assistente di Giovanni Job che mi ha insegnato a pensare la Pittura, Enzo Forese e Franco Toselli mi hanno detto che potevo giocarci, ma i primi libri d'Arte me li regalò mio padre Ilario, che è uno scultore.Da lui ascoltavo le storie di Michelangelo, Rodin, Brancusi. Scarrozzava me e i miei  fratelli a vedere le mostre di Calder, Mirò e Picasso in giro per l'Europa a bordo di una Simca 1000 color bronzo dorato. 

Valeria: Secondo te, com'è lo stato attuale del mondo dell'Arte?
Vanni: Credo che la parola d'ordine, in questi ultimi venti anni sia "connessione". 
Dopo la rivoluzione informatica l'Arte si è mischiata ed ha attinto ad altre discipline: si è connessa al marketing e all'economia in modo sistematico, alle terapie per la riabilitazione, fino ad arrivare alla…gastronomia. Insomma, come avevano predetto i Futuristi, mai come adesso l'Arte è stata vicina alla vita di tutti i giorni.
 In certi casi i confini tra la cosiddetta cultura alta  e cultura bassa sono così labili da non essere più distinguibiliI e il problema ,alla fine, non si pone nemmeno più.

Giostrarsi nella trama, 2013

Valeria: Ma l'arte serve a qualcosa?
Vanni: Non so se può essere considerata uno  strumento, un oggetto avente funzione… Per alcuni ce l'ha , per altri no. A me, ovviamente, serve, perché è il mio lavoro, mi permette di pagare le bollette, andare al cinema e viaggiare.

Valeria: Che ruolo hanno i critici ed i curatori?
Vanni: I critici e i curatori svolgono un ruolo importantissimo. Aiutano il pubblico a fruire meglio di un'opera d'arte.
Un buon testo di presentazione in catalogo (o su una rivista) e un ottimo allestimento in una galleria (o in un museo) sono fondamentali.

Valeria: C'è un luogo a cui sei particolarmente legato?

Vanni:Nessuno in particolare. Amo Genova, città dove sono nato, per i profumi dei vicoli. Adoro Milano, città dove lavoro, per la generosità della gente. Mi piace New York per l'adrenalina che ti mette in corpo. Sogno spesso Ferrara e Lisbona per gli sguardi sognanti delle persone.

Valeria: Ed artisti che ami particolarmente?
Vanni: I miei "fratelli "dell' Italian Newbrow.


Valeria: Se tu non fossi pittore saresti stato....
Vanni: Un attore forse o un redattore di guide turistiche enogastronomiche.

Valeria: La mostra più importante?
Vanni: Quella a cui sto lavorando. (Vorrei fare sempre quella che …sto facendo.) 
Si terrà a Crema nel Museo Civico della Città e nell'ex Convento di San Domenico. Avrà come tema i giochi e le Delizie rinascimentali e sarà realizzata in collaborazione con la mia galleria di Milano Area B a cura di Ivan Quaroni.






Ultimi lavori su confezioni di medicinali






Vanni Cuoghi, 
vive e lavora a Milano. 

lunedì 1 aprile 2013

In Vinile di Sergio Pardini


Jerome Kern- 33 giri Ritratti d’autore


Sembrerebbe strano parlare oggi di un tipo di musiche (leggera ma non troppo) composte dagli inizi del secolo scorso fino al finire degli anni ‘50, eppure ascoltandole adesso con attenzione si capisce come siano state innovative allora e come contengano ancora momenti e invenzioni che possiamo ritenere quasi attuali. Prendo in esempio un autore di allora e di un disco che ho rispolverato e che avevo lasciato un po’ da parte da parecchio: Jerome Kern nella collana Ritratti d’autore.(Cbs- Sugar)
Jerome Kern (1885-1945) è probabilmente il padre del moderno musical americano. Era nato a New York da una famiglia agiata di origine ebreo-tedesca, ha frequentato il College of Music di New York e ha cominciato a entrare come autore di musiche nel mondo teatrale di Broadway durante il primo decennio del secolo passato componendo brani per vari spettacoli. Kern raggiunse il suo primo successo con le canzoni inserite in “The girl from Utah”, una commedia inglese, nel 1914, tra cui la ballata "They didn't Believe Me" che rompe il modello europeo di proporre la musica , Kern infatti adattò le sue melodie alla danza contemporanea spesso con ballate fresche e innovative


Ma Kern è entrato davvero i libri di storia con Show Boat (1927), il primo musical americano veramente moderno, con una storia sui pregiudizi razziali e su un tragico amore, con canzoni memorabili come "Ol' Man River" e "Can’t Help Lovin’ Dat man". Come molti dei suoi contemporanei, Kern ha diviso il suo lavoro tra Broadway e Hollywood a partire dalla fine degli anni ‘20, quando il sonoro entrò nel cinema come per esempio con le canzoni di Fred Astaire e Ginger Rogers, "A Fine Romance" e "The Way You Look Tonight". Kern ha lavorato intensamente collaborando a quasi 40 spettacoli nella sua carriera e stava ancora lavorando quando morì improvvisamente nel 1945. Ci ha lasciato uno dei cataloghi più ricchi nella storia della musica di teatro e di cinema successivamente.
Alcune sue canzoni fra le più famose:

Nel disco che ho sottomano l’orchestra è diretta da Peter O’ Brian, i pezzi registrati come Sunny, Try to forget, Waltz in springtime ecc. sono tutti estratti da musicals.
Il 1929 fu l'anno del crollo della Borsa di Wall Street e dell’inizio della Grande Depressione che sconquasserà il popolo americano ma furono incredibilmente anche gli anni più propizi per la produzione di musical teatrali e cinematografici. Nonostante la crisi imponesse molti sacrifici, il pubblico si riversava in grande quantità nei teatri per assistere al musical o al film musicale di turno, dimostrando quindi il valore e il merito di questi spettacoli soprattutto come mezzo d’evasione in quegli anni di preoccupazione.
Ma il musical americano degli anni '30 non era però solo pura distrazione, ma anche probabilmente un modo per incoraggiare i propositi e gli ideali di ottimismo e rinascita economica divulgati dal New Deal.
Per dare un’idea nel film “La danza delle luci” ( Gold Digger of 1933), il numero d’apertura “We’re in the Money”, era cantato da un gruppo di ballerine vestite quasi interamente di dollari, come un appassionato invito all’atteggiamento fiducioso e al desiderio di rinascita.


Nelle migliori realizzazioni, quando tutti i componenti sono armonicamente fusi, il musical è una straordinaria mescolanza di musica, storia, ambientazione, costumi, canto, ballo e recitazione. Sovente la trama serve solo come giustificazione per la colonna sonora e il ballo, ma tutto tende ad un unico scopo, così i testi, le canzoni e la coreografia dei balli riescono dare consistenza ed emozioni attraverso la versatilità e la bravura degli attori protagonisti.
Fu in quegli anni un fiorire di grandi autori : Irving Berlin, Bert Kalmar, Rogers & Hart, per non dimenticare George Gershwin e Jerome Kern naturalmente.
Per dare un'idea della presenza del musical nella cinematografia americana negli anni dal '27 al '40 si contano più di trecento musicals e da allora fino al 1995, alcuni giornali specializzati ne elencano più di mille fra i più significativi (considerando però anche le cinematografie mondiali). Nell'epoca d'oro, dagli anni '30 alla fine dei '50 i titoli importanti ricordati sono più di ottocento.
Il film The Broadway Melody del 1929 è stato il primo musical della MGM e a Hollywood è stato anche il primo musical ad essere completamente sonoro (all-talking), nonché ad usare una sequenza in Technicolor, andata poi persa, esistendo oggi solo copie in bianconero, ma soprattutto anche la prima pellicola all-talking a vincere un Oscar come miglior film.
In realtà il 6 Agosto 1926, al Warner Theater di New York, fu presentato al pubblico il primo film ad avere un sonoro tutto suo, (Don Juan, di Alan Crosland), con John Barrymore, che utilizzava il sistema Vitaphone sviluppato da una società del gruppo Bell, la Western, però, era sì un film sonoro, ma non parlato, in quanto conteneva solo musica e qualche effetto sonoro. Ma fu l’inizio di una “rivoluzione” e la musica e i suoni aggiunti cominciarono a dare il loro influente contributo, un lavoro a volte leggero a volte massiccio ma sempre persistente e argutamente studiato, che agisce spesso a livello inconscio, quasi subliminale.
ciò che vediamo è determinato in larga misura da ciò che udiamo, potete verificare questa semplice proposizione con un semplice esperimento spegnete l’audio del vostro televisore e sostituitelo con una colonna sonora arbitraria preregistrata sul vostro magnetofono rumori stradali, musica, conversazione, registrazioni di altri programmi televisivi e troverete che la colonna sonora arbitraria sembra essere appropriata e sta infatti determinando la vostra interpretazione del film sullo schermo gente che corre dietro all’autobus in Piccadilly con una colonna sonora di mitragliatrici sembra Pietrogrado nel 1917 “ William Burroughs, Il biglietto che è esploso, Sugarco Edizioni, 1966.