"Don Chisciotte non ha paura; si offre all'incertezza del
vivere, che gli porta disastri, legnate, porcherie, umiliazioni. Ma egli non ha
fede nella vita, che non sa quel che fa, bensì nei libri, che dicono non la
vita ma ciò che le da senso, le sue insegne. Per queste insegne egli si batte e
viene quasi sempre ridicolmente battuto, perché quasi sempre il bene perde e il
male vince. Ma nemmeno disarcionato egli dubita di quelle insegne. Argamasilla
è la patria del baccelliere Sansone Carrasco che l'atterra, ma don Chisciotte
atterrato afferma che la propria debolezza non compromette la verità di ciò in
cui egli crede"
L'infinito Viaggiare. Claudio Magris
La leggenda narra che, da
Argamasilla de Alba, un'indefinita località della Mancia, sia partito per le
sue rocambolesche avventure, Don Chisciotte. Ma non si è certi e forse il punto
esatto deve rimanere celato, perché non altera il fascino della storia
dell'eroe creato da Manuel de Cervantes, così come indefinibili ed
irrintracciabili sono le origini delle figure protagoniste delle opere di Marcello
Buffa.
Se, nella vita, si va
incontro a ciò che capita, con la leggerezza e la determinazione di Don
Chisciotte, può capitare di fare incontri particolari, vivere esperienze
perturbanti o meravigliose e ricevere inattese sorprese. Tutto ciò, diventa una
parte integrante ed inscindibile dalla nostra esistenza. Un bagaglio che
sopravvive nella nostra memoria.
I viaggiatore spesso sentono
la necessità di raccogliere e condividere le loro vicissitudine, anche Buffa ha
la stessa urgenza, e lo fa attraverso l'uso della pittura. Cristallizzato in un
unico volto, ci svela le molteplici trame di differenti identità che ha
incontrato realmente o solo nelle sua immaginazione.
Procedendo così con un
meccanismo psicologico simile a quello dei sogni o dei ricordi infantili, dove
realtà e immaginazione si fondono, Marcello Buffa sovrappone figure di amici e
conoscenti ad immagini tratte dalle riviste o da internet, mescolandone i
lineamenti, stravolgendone i tratti somatici, le loro storie si fondono in un
unico racconto visivo, dando vita ad un'altra identità pittorica. Ibrida,
aliena, primigenia.
L'ingegneria genetica, le
biotecnologie, la chirurgia plastica, alterano e modificano quotidianamente i
volti e i corpi, così anche i personaggi delle tele di Marcello Buffa, mettono
in discussione la nostra identità; non c'è più confine tra giovane od anziano,
uomo o donna, non esiste classe sociale od etnia, tutto viene azzerato,
ridistribuito, rigenerato.
Abbandonarsi alla vita, come
fece Don Chisciotte lasciandosi guidare dal suo fidato e malandato cavallo,
Ronzinante, non è una libertà per tutti.
“Prendere quel che viene”,
come si usa dire è un lusso che si possono concedere solo i folli, i bambini ed
gli artisti, che con la loro creatività si muovono liberi dai vincoli della
quotidianità, dai doveri della logica, dalle costrizioni delle regole.
Svincolati dal reale, gli
artisti hanno però il dovere di restituirci con le loro opere, nuovi luoghi
sconosciuti da abitare, personaggi fantastici da conoscere, nuove emozioni da
esplorare.
Solo di una cosa, non possono
essere capaci: riportare in vita chi non c'è più.
Non potendo fare ciò Cesare
Inzerillo, si è inventato una morte per i protagonisti delle sue opere. Un'
inconfondibile ironia sarcastica e un po' sadica, caratterizza il suo lavoro, i
suoi personaggi, sono fissati nell'immobilità della morte che, sopraggiunta
all'improvviso gli ha strappati alla vita. I suoi scheletri e mummie,
realizzati con una tecnica minuziosa in cui niente è lasciato al caso ed
incompiuto, sono vestiti ed atteggiati come quando erano in vita.
Il classico della storia
dell'arte “ il memento mori” con Inzerillo subisce un ribaltamento semantico,
le sue figure, corrose e deturpate invece che farci soffermare sulla caducità
della vita ci strappano un sorriso, ironizzano e esorcizzano la paura ancestrale per
antonomasia.
Le creature di Cesare
Inzerillo sono una sorta di combinazione fra le mummie dei esposte nelle
catacomba del convento dei Cappuccini di Palermo e l'eredità del teatro
popolare dell'opera dei Pupi, e se quest' ultimi narravano al popolo le gesta
eroiche dei paladini di Carlo Magno in guerra contro i Saraceni, le sculture di
Inzerillo si prendono gioco delle dissolutezze e dei visi di alcuni personaggi
troppo ambiziosi.
Se nei volti di Marcello
Buffa non esiste gerarchia sociale, per Cesare Inzerillo é l'aldilà ad
annullare le differenze.
La pianura della Mancia,
dalla quale s’avvia la narrazione delle vicissitudini del romantico Hidalgo,
sembra senza confini come il deserto, infinita come le strade che si aprono
nella nostra vita. Qualsiasi viaggio, anche il più banale e quotidiano si sottrae
alla logica ed al nostro controllo e non può essere interamente pianificato
poiché non sappiamo cosa ci aspetta dietro l’angolo, se un imprevisto ci farà
cambiare improvvisamente rotta.
C’è una stretta connessione
tra l’idea del viaggio e le opere di Fabio Sciortino; pittura e viaggio
significano sempre separarsi da qualcosa, allontanarsi dalla realtà conosciuta
per lasciarsi andare a nuove conoscenze, nuove immagini, nuove idee.Vari sono i
paesaggi come vari sono i modi di viaggiare, ma fondamentale non è mai la meta
che ci si è prefissati di raggiungere, ma l’esperienza insita nel viaggiare. Ci
racconta questo la pittura sofisticata di Sciortino, che mediando con la luce,
quasi con un timore di offenderla, ci conduce in atmosfere sospese. Immagini rarefatte
che raccontano di luoghi indefiniti e lontani come i ricordi sfuocati del
ritorno a casa dopo un lungo viaggio. Pittura che diventa narrazione, perché
traduce in pittura emozioni, riflessioni, esperienze vissute, sfumate dal tempo
e dalla stratificazioni delle memoria. Fabio Sciortino cerca di restituirci con
le sue opere i tanti paesaggi che ci si propongono ai nostri occhi, dai più
noti e familiari, a quelli sconosciuti. Viaggio che diventa pittura e che a sua
volta diviene ricerca, possibilità per un maggior possesso del presente,
svelamento della precarietà degli schemi, libertà di svelare se stessi agli
altri.
Valeria Pardini
Fabio
Sciortino, Vado, china e varechina su carta incollata su tavola, cm 30 x 30
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