domenica 24 febbraio 2013

Domenico Antonio Mancini.



Senza titolo, 2010 cartapesta, Costituzione italiana. 210x120


Valeria: Ciao Domenico Antonio, è un vero piacere intervistarti, anche se non ci conosciamo molto, ci siamo solo visti di sfuggita, a Bologna qualche anno fa in fiera. Non so se ricordi. Ecco una domanda al volo forse un tantino stupida, tanto per rompere il ghiaccio; il caso ha un ruolo nel tuo lavoro?
Domenico Antonio: Secondo Deleuze, filosofo francese, tra i miei ultimi “incidenti”, il caso è produttore di senso, ed io sono alla continua ricerca di senso.

V: Secondo te artisti si nasce o si diventa?
DA: Assolutamente si diventa. Certo di fondo ci dev’essere una propensione ad osservare il mondo e ad immaginare visioni “altre”, ma questa propensione va curata, alimentata e maturata con l’esercizio. In più ci sono aspetti del lavoro dell’artista che non possono essere improvvisati, dal dato tecnico legato alla produzione delle opere all’aspetto della cura dei rapporti e delle relazioni che sono sempre stati fondamentali nel fare arte.

V: Mi racconti, brevemente il tuo percorso artistico?
DA: Accademia di belle Arti a Napoli, corso Quartapittura, avevamo un piccolo depositino di “cose” nel bagno del laboratorio, quando avevamo bisogno di qualcosa andavamo a “cercare nel cesso”, la ricerca del sublime anche nell’infimo, presupposto dell’impianto teorico del corso, trovava così una pratica assolutamente chiara. Poi tanti incontri ed un po’ di fortuna senza la quale non si va da nessuna parte.

V: Sei superstizioso?
DA: dalle mie parti si dice “non è vero, ma ci credo”. In ogni caso ci sono cose legate alle abitudini popolari che  sono solo buoni precetti di vita quotidiana: se non passo sotto le scale è perché non sai mai cosa o chi può crollarti in testa.


V: Com’è stata l’esperienza al Premio Cairo?
DA: Un’esperienza importante, il confronto con i colleghi è sempre stimolante ed osservare le meccaniche di un concorso tra artisti può essere anche molto divertente. Forse di quell’edizione avrei calibrato meglio le presenze, non so quanto avesse senso far concorrere assieme artisti under trenta con quarantenni con all’attivo la Biennale di Venezia.

V. E' noto dire che gli artisti o sono geni oppure matti. Tu hai qualche mania particolare?
DA: Da piccolo i miei genitori mi raccontarono la storia di Sansone, giudice d’Israele, uomo dalla forza indescrivibile
risiedente nei lunghi capelli che non aveva mai tagliato. Catturato dai filistei e sedotto da Dalila le racconta il suo segreto ed i capelli gli vengono tagliati. Ogni volta che sentivo arrivare Cenzino, il mio barbiere, con la sua vespa rossa, mi veniva una profonda angoscia. Oggi non taglio mai i capelli prima di aver chiuso un lavoro. Ma penso anche che i genitori possono fare guai peggiori, dopotutto a me non è andata troppo male.

V: Come sono i tuoi rapporti con la critica d'arte?
DA: Penso che il rapporto con la critica debba essere per qualunque artista assolutamente fondamentale. L’arte ha il compito di impostare questioni che spesso a causa della sua parzialità non può sviluppare del tutto. È in questo momento che si deve aprire al dialogo con altre figure. Io mi ritengo fortunato, avendo incrociato nel tempo persone che mi hanno fatto crescere, con cui ho potuto e posso condividere momenti di intenso scambio intellettuale. Penso innanzitutto all’ambiente della Fondazione Menna di Salerno che da anni è un importante presidio di discussione sull’arte.

V: Quali sono gli artisti che segui con interesse?
DA: Da spettatore dell’arte sono onnivoro anche se ammetto di avere qualche problema con la pittura nel cui modus non riesco proprio a calarmi.

V: Qual è stato il tuo progetto più impegnativo?
DA: Probabilmente il progetto con cui ho chiuso il 2012 a Shanghai. The Novel of Shanghai era, è, la scrittura di un romanzo collettivo sulla città, la richiesta agli abitanti di inviarmi parole che la potessero descrivere. Ovviamente più che di un lavoro di narrazione si tratta di un’operazione di problematizzazione delle differenze culturali tra le nostre culture, partendo dal senso della parola “parola” che nella linguistica cinese quasi non ha senso. Significante e significato infatti coincidono nel grafema che rimanda direttamente alla rappresentazione grafica del concetto che esprime. Ogni ideogramma diventa così, più che l’espressione di un’informazione, il racconto di un’esperienza. Già solo comunicare le mie intenzioni non è stata cosa semplice.

The Novel Of Shanghai 2012



The Novel Of Shangai, Particolare



V: Come giudichi la politica culturale italiana?
DA: Pressoché inesistente. Nessuno si preoccupa che la cultura possa essere un argomento di discussione. Le singole esperienze di eventi o musei che provano a sopravvivere non sono assolutamente inquadrate nel disegno  di una più ampia e generale proposta culturale.

V: Hai mai pensato di andare a lavorare all'estero?
DA: Certo! Ci penso tutti i giorni, ma non parto senza un programma preciso.


V: Ci sono stati artisti o professori negli anni della tua formazione che ti hanno particolarmente segnato?
DA: Innanzitutto Ninì Sgambati, il mio Maestro, professore di pittura dell’Accademia di Napoli, che mi ha diplomato con 110 e lode accusandomi di essere snob ed intellettuale dopo aver provato per anni a “liberarmi”, e Jimmie Durham
che nel breve tempo del corso della Fondazione Ratti di Como mi ha insegnato un nuovo modo di guardare il mondo.

V: Quali sono i tuoi ultimi lavori? Progetti per il 2013?
DA: Ho un paio di progetti che non sono ancora sicuri, meglio non parlarne. Giusto un po’ di sana scaramanzia.




V: Grazie mille, c'è qualcuno che vorresti mandare a quel paese, oltre a me per averti portato via tempo con l'intervista?
DA: Sono in genere una persona molto paziente, e non c’è nessuno che abbia voluto mandare a quel paese che non abbia educatamente già mandato. Solo da automobilista riesco a perdere tutta la mia pazienza ed ingaggiare un continuo scontro col mondo. Ma questo esula dalla questione arte.

V: Ultimissima... la difficoltà più grande di essere un artista?
DA: Riuscire a spiegare al carabiniere che ti ferma con l’auto alle due di notte e ti chiede cosa fai nella vita, che significa che come artista produci “installazioni”. Specie quando lui ti chiede “di cosa?”. 


Domenico Antonio Mancini,classe 1980 vive e lavora a Napoli.

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